Introduzione
La sentenza n. 118/2025 della Corte Costituzionale rivoluziona la tutela contro il licenziamento illegittimo nelle piccole imprese italiane. I giudici hanno dichiarato incostituzionale il limite massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria previsto dall’articolo 9, comma 1, del d.lgs. 23/2015. Questa norma riguardava aziende con meno di 15 dipendenti per unità produttiva o meno di 60 complessivi. La decisione elimina un tetto rigido che impediva ai giudici di adattare il risarcimento al danno reale subito dal lavoratore.
La Corte Costituzionale interviene dopo anni di inerzia legislativa. Già nella sentenza n. 183/2022, la Consulta aveva segnalato il problema, invitando il Parlamento a riformare la legge. Ora, davanti alla mancanza di azioni, i giudici rimuovono direttamente la parte incostituzionale. Risultato? I tribunali possono ora fissare indennità superiori alle sei mensilità, valutando fattori come la gravità del vizio, l’anzianità del lavoratore e la condotta delle parti.
Questo cambia lo scenario per milioni di lavoratori e datori di lavoro. Le piccole imprese, che rappresentano la quasi totalità del tessuto produttivo italiano secondo i dati ISTAT, devono ora affrontare tutele più incisive. La sentenza rafforza i diritti costituzionali al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e promuove un equilibrio tra esigenze aziendali e protezione individuale. Per chi cerca informazioni su “licenziamenti illegittimi piccole imprese” o “indennità risarcitoria d.lgs. 23/2015”, questa pronuncia apre una nuova era di giustizia più personalizzata e deterrente.
In questo articolo andremo a ripercorrere le tutele previste dal d.lgs. 23/2015 prima dell’intervento della Consulta per comprendere meglio il meccanismo che ha portato alla pronuncia.
Licenziamento individuale illegittimo nelle piccole imprese: le regole prima della sentenza secondo il d.lgs. 23/2015
Il d.lgs. 23/2015, parte integrante del Jobs Act, ha introdotto regole specifiche per i licenziamenti nelle piccole imprese. Questa normativa mirava a bilanciare la flessibilità per i datori di lavoro con tutele progressive per i dipendenti. Prima dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 118/2025, il sistema limitava fortemente le indennità risarcitorie, creando un regime speciale per le realtà produttive più piccole. Analizziamo i dettagli per comprendere come funzionava questa tutela contro i licenziamenti illegittimi.
Chi sono le “piccole imprese” secondo la normativa italiana
La normativa italiana definisce le piccole imprese, o “sotto soglia”, basandosi sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge 300/1970). Si tratta di aziende che occupano non più di 15 dipendenti in una singola unità produttiva o nel territorio di un comune, e comunque non oltre 60 dipendenti complessivi a livello nazionale. Questa soglia escludeva la tutela reintegratoria piena, applicando regole più leggere per favorire la crescita e la flessibilità delle micro e piccole imprese. Secondo i dati ISTAT, queste realtà rappresentano oltre il 95% delle imprese italiane, impiegando una vasta porzione della forza lavoro. I datori di lavoro beneficiavano di minori oneri in caso di licenziamento, ma i lavoratori rischiavano protezioni ridotte.
L’impianto del d.lgs. 23/2015: il contratto a tutele crescenti
Il d.lgs. 23/2015 introduce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, applicabile ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. Questo regime lega le tutele all’anzianità di servizio, con indennità che aumentano progressivamente. Per le piccole imprese, la legge escludeva la reintegrazione nel posto di lavoro in quasi tutti i casi di licenziamento illegittimo, optando per una tutela solo indennitaria. L’obiettivo era attrarre investimenti riducendo i rischi per i datori, ma critics notavano che ciò penalizzava i dipendenti, rendendo i licenziamenti più facili e meno costosi. La norma si inseriva in un contesto di riforma del mercato del lavoro, puntando a maggiore occupazione attraverso flessibilità.
Come funzionava l’indennità in caso di licenziamento illegittimo
In caso di licenziamento illegittimo, il d.lgs. 23/2015 prevedeva per le piccole imprese un’indennità risarcitoria calcolata sull’ultima retribuzione di riferimento per il TFR. La tutela variava in base al tipo di vizio: per mancanza di giusta causa o giustificato motivo (art. 3, comma 1), l’indennità partiva da un minimo di 3 mensilità; per vizi procedurali (art. 4, comma 1), da 1 mensilità. Non si applicava la reintegrazione, salvo discriminazioni o nullità. I giudici avevano margini limitati per personalizzare l’importo, focalizzandosi sull’anzianità di servizio. Questo meccanismo garantiva prevedibilità ai datori, ma spesso lasciava i lavoratori con risarcimenti inadeguati al danno subito, come perdita di reddito o instabilità familiare.
Il dimezzamento degli importi rispetto alle grandi aziende
Rispetto alle imprese “sopra soglia” (più di 15 dipendenti per unità o 60 complessivi), le piccole aziende applicavano un dimezzamento automatico degli importi previsti dagli articoli 3, 4 e 6 del d.lgs. 23/2015. Ad esempio, mentre un lavoratore di una grande impresa poteva ottenere fino a 36 mensilità per licenziamento ingiustificato, nelle piccole il massimo scendeva a 18, ma con ulteriori limiti. Questo dimezzamento rifletteva l’idea di proteggere le risorse limitate delle microimprese, riducendo i costi dei contenziosi. Tuttavia, creava disparità: lavoratori in situazioni simili ricevevano tutele diverse solo per la dimensione aziendale, violando potenzialmente il principio di eguaglianza.
Il tetto massimo delle 6 mensilità nel licenziamento individuale illegittimo
Il vero punto critico era il tetto insuperabile di 6 mensilità imposto dall’articolo 9, comma 1. Indipendentemente dalla gravità del licenziamento o dall’anzianità del lavoratore, l’indennità non poteva eccedere questa soglia. Per un licenziamento senza giusta causa, la forbice andava da 3 a 6 mensilità; per vizi formali, da 1 a 6. Questo limite rendeva la tutela standardizzata e spesso irrisoria, senza funzione deterrente per i datori. La Corte Costituzionale ha criticato questa rigidità, notando che non consentiva una valutazione personalizzata del danno, trasformando il risarcimento in una sanzione fissa e prevedibile.
La sentenza n. 118/2025 della Corte Costituzionale: motivazioni e conseguenze sul licenziamento individuale illegittimo
La sentenza n. 118/2025 rappresenta un intervento decisivo della Corte Costituzionale nel diritto del lavoro nostrano. I giudici esaminano l’articolo 9, comma 1, del d.lgs. 23/2015, dichiarandone incostituzionale il tetto massimo di sei mensilità per l’indennità risarcitoria nei licenziamenti illegittimi delle piccole imprese. Questa pronuncia, depositata il 21 luglio 2025, nasce da un’ordinanza del Tribunale di Livorno e rafforza i principi di eguaglianza e tutela del lavoro. Analizziamo le motivazioni chiave e le ricadute pratiche per comprendere l’impatto di questa decisione.
licenziamento individuale illegittimo: le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Livorno
Il Tribunale di Livorno solleva questioni di legittimità costituzionale durante un giudizio su un licenziamento illegittimo intimato a una lavoratrice da una piccola impresa. Il giudice rimettente contesta l’articolo 9, comma 1, del d.lgs. 23/2015, che dimezza le indennità e impone un tetto di sei mensilità. Secondo il Tribunale, questa norma viola gli articoli 3, 4, 35, 41 e 117 della Costituzione, oltre all’articolo 24 della Carta Sociale Europea. Il rimettente denuncia una disparità irragionevole tra lavoratori di piccole e grandi imprese, nonché una tutela standardizzata incapace di adattarsi alla gravità del vizio o alle circostanze individuali. L’ordinanza sottolinea l’urgenza, richiamando l’inerzia legislativa post-sentenza n. 183/2022 e i dati ISTAT sull’ampia platea interessata.
Le motivazioni della Consulta: personalizzazione, adeguatezza e funzione deterrente
La Corte Costituzionale accoglie le censure, dichiarando incostituzionale solo la previsione del tetto massimo di sei mensilità, mantenendo il dimezzamento degli importi. I giudici motivano che tale limite comprime l’indennità in una forbice esigua, violando il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e rendendo impossibile una personalizzazione basata su gravità del vizio, anzianità di servizio e condotta delle parti. La Consulta enfatizza l’adeguatezza del ristoro, che deve coprire il danno reale senza trasformarsi in una liquidazione forfettaria. Inoltre, l’indennità perde funzione deterrente, non scoraggiando abusi datoriali, specie in imprese piccole ma economicamente solide. La Corte critica il criterio esclusivo del numero di dipendenti, non più indicativo della forza economica, e richiama parametri europei come fatturato e bilancio.
L’impatto economico-sociale: platea coinvolta, disparità e nuova tutela
La sentenza evidenzia l’impatto su un’ampia platea: le piccole imprese rappresentano la quasi totalità del tessuto produttivo italiano (dati ISTAT 2023), impiegando gran parte della forza lavoro. Il tetto rigido creava disparità sociali, penalizzando lavoratori in realtà “sotto soglia” rispetto a quelli in aziende più grandi, con tutele fino a 36 mensilità. Questa discriminazione strutturale minava i diritti al lavoro (artt. 4 e 35 Cost.) e l’equilibrio con l’iniziativa economica (art. 41 Cost.). La nuova tutela elimina l’ingiustizia, promuovendo indennità più eque e individualizzate, con effetti positivi sulla stabilità occupazionale e sulla dignità dei lavoratori, senza gravare eccessivamente sulle imprese.
Cosa cambia concretamente per datori di lavoro e lavoratori
Per i lavoratori, la sentenza rafforza le protezioni: i giudici possono superare le sei mensilità, modulando l’indennità su criteri specifici, garantendo risarcimenti più congrui. Questo riduce il rischio di tutele irrisorie e rafforza la deterrenza. Per i datori di lavoro, aumenta l’esposizione a costi potenzialmente più alti in caso di licenziamenti illegittimi, spingendo a procedure più rigorose e contestazioni motivate. Le piccole imprese devono rivedere le pratiche HR per minimizzare rischi, mentre il dimezzamento degli importi base persiste, preservando un certo equilibrio. Complessivamente, la pronuncia invita a una riforma legislativa per criteri più moderni, migliorando la giustizia nei rapporti di lavoro.
Conclusioni
La sentenza n. 118/2025 della Corte Costituzionale chiude un capitolo critico, eliminando il tetto rigido di sei mensilità per l’indennità risarcitoria nei licenziamenti illegittimi delle piccole imprese. Questa pronuncia non solo corregge un’ingiustizia, ma invita a ripensare l’intero sistema di tutele. Esploriamo le prospettive future e l’equilibrio tra interessi contrapposti.
Verso un nuovo equilibrio tra esigenze datoriali e diritti dei lavoratori
La Corte Costituzionale spinge verso un nuovo equilibrio tra le esigenze dei datori di lavoro e i diritti dei lavoratori. Le piccole imprese necessitano di flessibilità per competere, ma i giudici affermano che questa non può sacrificare la dignità del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.). La sentenza rafforza le tutele, permettendo indennità più adeguate senza reintegrazione obbligatoria. I datori guadagnano prevedibilità, ma devono adottare pratiche più etiche per evitare costi elevati. I lavoratori ottengono risarcimenti proporzionati, riducendo disparità e promuovendo stabilità occupazionale. Questo approccio bilancia l’iniziativa economica (art. 41 Cost.) con l’eguaglianza, favorendo relazioni lavorative più sane e produttive.
Le prospettive aperte dalla sentenza e l’auspicio per un intervento legislativo più articolato
La sentenza apre prospettive innovative, concedendo ai giudici maggiore discrezionalità per personalizzare le indennità su criteri come gravità del vizio e anzianità. Tuttavia, mantiene il dimezzamento degli importi, lasciando spazio a riforme. La Corte auspica un intervento legislativo articolato, che superi il solo numero di dipendenti e includa parametri come fatturato e bilancio, allineandosi a standard europei. Senza inerzia, il Parlamento deve agire per una disciplina organica, evitando vuoti normativi. Consulenti del lavoro e imprese devono aggiornarsi: questa evoluzione promuove giustizia, deterrenza e un mercato del lavoro più equo, tutelando milioni di persone nel tessuto produttivo italiano.
Autore dell’articolo – Marco Campesato: esperto di diritto del lavoro e della previdenza sociale di Studio Campesato – Consulente del lavoro a Vicenza
