Glossario

Abbiamo deciso di predisporre e rendere disponibile la spiegazione dei principali vocaboli che quotidianamente vengono utilizzati nella gestione di un rapporto di lavoro

L’addizionale comunale all’IRPEF è un’imposta dovuta dai contribuenti in favore del comune in cui hanno il domicilio fiscale (che per le persone fisiche coincide con la residenza). È gestita insieme all’addizionale regionale e si calcola sulla stessa base imponibile ai fini IRPEF. L’addizionale è dovuta solo se è dovuta l’IRPEF. Saldo e acconto dell’addizionale comunale è determinato in sede di conguaglio di fine anno e trattenuto in un numero massimo di 9 rate mensili, effettuate a partire dal mese di marzo dell’anno successivo. Ogni comune può decidere se applicare o meno l’addizionale comunale. Nella generalità dei casi il versamento dell’addizionale comunale è effettuato in acconto e a saldo, e l’aliquota stabilita non può essere superiore allo 0,8%.In caso di cessazione del rapporto, il calcolo ed il versamento dell’imposta verrà effettuato al momento del conguaglio di fine rapporto.

L’addizionale regionale all’IRPEF è un’imposta dovuta dai lavoratori in favore della regione in cui hanno il domicilio fiscale (che per le persone fisiche coincide con la residenza). L’aliquota base dell’addizionale è pari all’1,23% sull’intero territorio nazionale ma la stessa può essere maggiorata dalla singola regione tra l’1,23% e il 3,33%. L’addizionale è dovuta se, per lo stesso anno, risulta dovuta l’IRPEF, al netto delle detrazioni e crediti riconosciuti. Viene determinata alla fine dell’anno in sede di conguaglio e versata in due momenti separati:

  • L’anticipo (pari al 30% dell’ammontare dell’imposta) viene versato al momento del calcolo (e dunque in sede di conguaglio);
  • Il saldo viene versato in 9 o 10 rate mensili entro dicembre dell’anno successivo.

In caso di cessazione del rapporto, il calcolo ed il versamento dell’imposta verrà effettuato al momento del conguaglio di fine rapporto.

L’Assegno Unico Universale per i Figli è una misura economica introdotta per sostenere le famiglie con figli a carico. È un beneficio economico erogato dall’INPS, previa richiesta in modalità telematica sul sito dell’Istituto, per i nuclei familiari con figli fino ai 21 anni. L’importo varia in base all’ISEE della famiglia e all’età dei figli. La domanda può essere presentata da uno dei genitori, dal tutore del figlio o del genitore, o dai figli stessi al compimento della maggiore età. La misura è universale perché tutti ne hanno diritto, indipendentemente dalla condizione lavorativa e senza limite massimo di reddito.

Viene definita “caregiver familiare” la persona che assiste e si prende cura di un parente non autosufficiente.
La persona assistita dal caregiver deve essere affetta da malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, e non essere autosufficiente o comunque in grado di prendersi cura di sé.

Sono previste diverse e particolari tutele per il lavoratore dipendente caregiver qualora si configurino le seguenti condizioni:

  • il familiare da assistere è stato riconosciuto portatore di handicap in situazione di gravità;
  • la persona disabile non è ricoverata a tempo pieno;

Inoltre, l’assistito dev’essere:

  • il coniuge;
  • l’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
  • il convivente di fatto;
  • un familiare o di un affine entro il secondo grado;
  • un familiare entro il terzo grado (zii, cugini, pronipoti) ma solo quando:
    • i genitori o il coniuge della persona con disabilità grave da assistere siano deceduti;
    • o abbiano compiuto 65 anni;
    • o siano anch’essi affetti da patologie invalidanti.

In tali circostanze, il lavoratore caregiver potrebbe aver diritto a:

  • Permessi lavorativi retribuiti
    Diritto a fruire fino a 3 giorni di permesso retribuito (dall’INPS) al mese. Tali giornate possono essere utilizzate anche in modo frazionato ad ore.
  • Congedo straordinario
    Diritto a fruire di un congedo retribuito (dall’INPS) e coperto da contribuzione figurativa di durata fino a due anni da poter fruire anche in modalità frazionata.
  • Congedo per gravi motivi familiari
    È un periodo di congedo non retribuito di durata massima di 2 anni nell’arco dell’intera vita lavorativa (che può essere fruito in modo continuativo o frazionato).
    È coperto da contribuzione figurativa e utile dunque ai fini del diritto alla pensione.
    Tra i motivi che danno diritto a questo congedo rientra anche “la necessità per il lavoratore di cura e assistenza di un familiare”.
  • Scelta della sede di lavoro
    Il lavoratore che assiste un familiare con handicap grave ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio. L’azienda può rifiutare tale richiesta ma dovrà provare l’esistenza di oggettivi motivi organizzativi e produttivi che ne hanno impedito il trasferimento.
  • Rifiuto al trasferimento
    Il lavoratore che assiste un familiare con handicap grave non può essere trasferito senza il proprio consenso ad altra sede.
  • Lavoro notturno
    Il lavoratore che assiste un familiare con handicap non può essere obbligatoriamente adibito al lavoro notturno.
  • Accesso alla pensione anticipata “Quota 41”
    Il caregiver che assistere un familiare con disabilità grave da almeno 6 mesi (e sia in possesso degli altri requisiti richiesti dalla legge), può accedere al regime pensionistico anticipato “Quota 41”.
  • Prolungamento del Congedo Parentale
    La lavoratrice madre o il lavoratore padre, che assistono figli con disabilità grave hanno diritto di chiedere, alternativamente, il prolungamento del congedo parentale.
    Tale richiesta deve avvenire entro i 12 anni di vita del figlio.
    La durata massima del congedo è di 3 anni (comprensivo dei periodi di congedo parentale ordinario) e può essere utilizzato in maniera continuativa o frazionata.
    Durante questo periodo, il lavoratore ha diritto a un’indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione (salvo trattamento più favorevole del contratto collettivo) pagata dall’INPS ma anticipata dal datore di lavoro.
  • Trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
    Dev’essere riconosciuta la priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.

Con il termine “carenza” della malattia ci si riferisce ai primi 3 giorni di malattia durante il quale il lavoratore non riceve la relativa indennità dall’INPS (che paga solo a decorrere dal 4° giorno) ma viene retribuito dal datore di lavoro (solo se e nella misura previsti dalla Contrattazione Collettiva).

Le “Casse extra-legem” e gli “Enti bilaterali di settore” sono fondi di assistenza e previdenza gestiti da enti privati, che operano al di fuori del sistema previdenziale pubblico obbligatorio. Questi Fondi sono istituiti volontariamente dalle associazioni sindacali e datoriali di categoria per offrire ai propri dipendenti o associati prestazioni aggiuntive rispetto a quelle garantite dalla previdenza sociale obbligatoria; possono fornire coperture assicurative per malattia, per infortuni sul lavoro, disoccupazione, assistenza sanitaria, o altri servizi. Queste casse sono regolate in genere dai contratti collettivi di settore.

La busta paga (o prospetto di paga) è un documento nel quale devono essere indicati il:

  • Nome,
  • Cognome
  • Qualifica professionale del lavoratore,
  • Periodo cui la retribuzione si riferisce,
  • Gli assegni familiari
  • Tutti gli altri elementi che compongono la retribuzione.
  • Tutte le singole trattenute.

Deve essere consegnato dal datore di lavoro al lavoratore al momento del pagamento della retribuzione.

La Certificazione Unica (CU), in precedenza conosciuta come CUD, è un documento fiscale emesso annualmente dal datore di lavoro o committente, che attesta i redditi percepiti da un lavoratore dipendente o autonomo nell’anno precedente. La CU contiene informazioni dettagliate su:

  • Redditi percepiti,
  • Oneri deducibili e detraibili,
  • Trattenute fiscali subite
  • Altri dati rilevanti per la dichiarazione dei redditi.

La CU deve essere consegnata al lavoratore entro specifici termini (in genere entro il 16 marzo di ogni anno). Il datore di lavoro è inoltre tenuto a trasmetterla all’Agenzia delle Entrate in via telematica.

La condotta antisindacale si riferisce al comportamento tenuto dal datore di lavoro (o da soggetti che agiscono per suo conto) che mira a ostacolare, limitare o reprimere l’attività sindacale dei lavoratori

Questo comportamento può manifestarsi in varie forme, come ad esempio: L’omessa informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali nelle procedure di licenziamento collettivo; La violazione della disciplina sindacale prevista dai contratti collettivi; L’adozione di misure intimidatorie nei confronti dei lavoratori che esercitano i propri diritti sindacali; Altre azioni dirette a limitare la libertà sindacale. La condotta antisindacale è disciplinata dall’articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970) e può essere oggetto di accertamento e repressione da parte delle autorità competenti.

Non è necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, ma è sufficiente che il comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi delle organizzazioni sindacali.

Il procedimento per la repressione della condotta antisindacale si sviluppa attraverso due fasi:

  1. La prima è un procedimento d’urgenza a cognizione sommaria,
  2. La seconda fase è un procedimento ordinario.

Il ricorso va presentato al giudice del lavoro del luogo in cui è stato posto in essere il comportamento antisindacale. Il giudice può emettere un’ordinanza cautelare per sospendere la condotta antisindacale e successivamente avvia il procedimento ordinario per la valutazione nel merito.

La maternità anticipata è un periodo di astensione dal lavoro che inizia prima del congedo di maternità obbligatorio.

Le condizioni che permettono di richiedere la maternità anticipata includono la gravidanza a rischio, condizioni lavorative o ambientali dannose per la salute con impossibilità di svolgere altre mansioni.

Le procedure per richiedere la maternità anticipata sono differenti in base al motivo per la quale viene richiesta. In particolare:

  • Gravidanza a rischio: in presenza di gravi complicazioni della gestazione o altre condizioni che mettono a rischio la salute della madre o del nascituro, la lavoratrice può richiedere l’astensione anticipata. In questo caso, la lavoratrice stessa deve inoltrare una domanda all’ASL e allegare un certificato medico che attesti la necessità dell’astensione;
  • Lavorazioni pericolose o in ambienti insalubri: se la lavoratrice svolge un’attività pericolosa o in ambienti insalubri che possono comprometterne la gravidanza, e non è possibile adibire a diverse mansioni compatibili con lo stato di gravidanza, è possibile richiedere l’astensione anticipata. Nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) deve essere prevista una apposita sezione per la valutazione dei rischi per le lavoratrici in stato di gravidanza. La richiesta di astensione anticipata deve essere effettuata dal datore di lavoro all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL).

Per i medesimi motivi potrebbe essere disposta anche una astensione dopo il parto che va oltre il periodo di maternità obbligatoria, chiamata appunto “maternità posticipata”. L’indennità di maternità anticipata (e posticipata) è la medesima dell’indennità prevista per la maternità obbligatoria (ovvero l’80% della Retribuzione Media Giornaliera del mese precedente all’evento) ed è a carico dell’INPS ma anticipata dal datore di lavoro che la recupererà tramite modello F24 compensandola dai contributi da versare.

La nostra Costituzione e la legge, tutela la lavoratrice madre nelle diverse fasi della gravidanza.

Oltre al divieto di adibire la lavoratrice a lavori ritenuti pericolosi, dall’inizio della gravidanza e fino al settimo mese di età del figlio, nonché a lavori notturni (dalle 24 alle 6), è previsto un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e il puerperio.

In presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare di suddetto congedo, l’astensione dal lavoro spetta al padre.

Il congedo di maternità, di norma, inizia due mesi prima la data presunta del parto e termina tre mesi dopo (salvi i casi in cui sia prevista l’interdizione anticipata e posticipata attraverso il “congedo di maternità anticipata e posticipata”).

Previo benestare da parte del medico competente aziendale o, in mancanza, di un medico del SSN, la lavoratrice potrà decidere di astenersi:

  • Un mese prima della data presunta del parto e quattro mesi dopo il parto;
  • Cinque mesi dopo il parto.

In caso di parto gemellare, la durata del congedo di maternità non varia.

In caso di interruzione di gravidanza dopo 180 giorni dall’inizio della gestazione o di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, la lavoratrice ha la facoltà di astenersi dal lavoro per l’intero periodo del congedo di maternità, salvo sua espressa rinuncia.

Nei casi di adozione o affidamento di minore, il congedo di maternità spetta per cinque mesi a partire dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato.

Nei casi di:

  • Morte o grave infermità della madre;
  • Abbandono del figlio da parte della madre;
  • Affidamento esclusivo del figlio al padre;

Il congedo di maternità obbligatorio può essere fruito dal padre e prende il nome di “congedo di paternità alternativo”.

Durante i periodi di congedo di maternità (o paternità alternativo) la lavoratrice (o il lavoratore) ha diritto a percepire un’indennità a carico dell’INPS pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera calcolata sulla base dell’ultimo periodo di paga precedente l’inizio del congedo di maternità o paternità alternativo.

L’indennità è anticipata in busta paga dal datore di lavoro che lo recupererà entro il giorno 16 dello stesso mese attraverso la diminuzione dei contributi INPS da versare.

I contratti collettivi possono prevedere una integrazione di retribuzione a carico del datore di lavoro fino al raggiungimento massimo del 100% della retribuzione.

Per le lavoratrici disoccupate o sospese, il congedo di maternità deve iniziare entro 60 giorni dall’ultimo giorno di lavoro.La domanda va inoltrata telematicamente attraverso l’apposita procedura sul sito INPS prima dei due mesi che precedono la data prevista del parto e comunque mai oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile, pena la prescrizione del diritto all’indennità.

Il congedo matrimoniale riconosce ai dipendenti non in prova il diritto di astenersi dal lavoro per un massimo di 15 giorni retribuiti in occasione del matrimonio. Questo congedo spetta a tutte le principali categorie di lavoratori subordinati, compresi i lavoratori a domicilio e gli apprendisti. Il congedo deve essere richiesto per iscritto al datore di lavoro entro i termini previsti dal CCNL.

Il congedo inizia con il giorno del matrimonio.

Tuttavia, se, per ragioni di produzione aziendale il lavoratore non ne potesse fruire immediatamente, esso deve comunque essere concesso o completato entro i 30 giorni successivi alla data del matrimonio.

Durante il periodo di congedo matrimoniale, il lavoratore ha diritto di percepire il medesimo compenso che riceve nei giorni in cui presta la propria attività lavorativa.

Di norma è a totale carico del datore di lavoro ma per gli operai dipendenti da aziende industriali, artigiane e cooperative il trattamento economico è erogato in parte dall’INPS che corrisponde al lavoratore un assegno pari a 7 quote giornaliere della normale retribuzione (anticipato dal datore di lavoro e poi conguagliato successivamente).

Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativa dal lavoro, concesso ai lavoratori e alle lavoratrici per prendersi cura del proprio figlio nei suoi primi anni di vita e soddisfarne i bisogni affettivi e relazionali. Durante tale periodo, i lavoratori percepiscono un’indennità economica sostitutiva del reddito da lavoro.

Il congedo parentale spetta ai genitori naturali e adottivi che siano in costanza di rapporto di lavoro entro i primi 12 anni dall’ingresso del minore nella famiglia, indipendentemente dall’età del bambino all’atto dell’ingresso.

La durata del congedo parentale varia a seconda delle situazioni specifiche, ma in generale i genitori possono fruirne fino a un massimo di 10 mesi, estendibili a 11 se il padre si astiene dal lavoro per almeno 3 mesi. La madre può beneficiare fino a 6 mesi di congedo. Entrambi i genitori possono astenersi dal lavoro percependo un’indennità pari a:

  • 80% della retribuzione del mese precedente per il primo mese di congedo (per uno solo dei due genitori);
  • 60% della retribuzione del mese precedente per il secondo mese di congedo (per uno solo dei genitori); per il solo anno 2024 l’indennità anche per il secondo mese è dell’80% anziché il 60%;
  • 30% della retribuzione del mese precedente per il periodo rimanente di congedo.

A condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo dell’assegno sociale.

Al termine dell’anno fiscale o alla cessazione del rapporto di lavoro, viene eseguita l’operazione di conguaglio che serve a stabilire in via definitiva l’ammontare del reddito effettivo percepito e le imposte (IRPEF) che il dipendente deve versare all’Erario.Dall’operazione di conguaglio potrebbe dunque risultare un importo a debito o a credito per il dipendente con la conseguente trattenuta o rimborso dell’IRPEF direttamente in busta paga.

La contestazione disciplinare è un atto formale con cui l’azienda avvia il procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente. Deve essere comunicata per iscritto e deve contenere in modo specifico e dettagliato i fatti contestati al lavoratore. Questo atto consente al dipendente di esercitare il suo diritto di difesa e di presentare le proprie giustificazioni. Il datore di lavoro non potrà esercitare il proprio potere di irrogare sanzioni prima che si sia concluso l’iter previsto per la fase di contestazione.

Con “contratto di lavoro atipico”, nell’ordinamento giuridico italiano, ci si riferisce a quei tipi di contratto che si differenziano da quello subordinato a tempo pieno e indeterminato. Offrono solitamente una maggiore flessibilità del lavoro per rispondere alle diverse esigenze di produzione e agevolare la collocazione di determinate categorie di lavoratori, come giovani e donne ma sono spesso oggetto di attenta verifica da parte degli organi di vigilanza. Alcuni esempi di contratti atipici, includono:

–        Contratto di lavoro intermittente (c.d. a chiamata);

–        Contratto di lavoro a tempo determinato;

–        Contratto di lavoro part-time;

–        Contratto di somministrazione;

–        Contratto di apprendistato;

–        Contratto di lavoro autonomo;

–        Collaborazioni coordinate e continuative (c.d. co.co.co).

Un Contratto Collettivo di Lavoro (CCNL) è un accordo tra un datore di lavoro o un gruppo di datori di lavoro e un’organizzazione o più organizzazioni di lavoratori. Esso stabilisce le condizioni di lavoro e il trattamento minimo garantito per i lavoratori in un determinato settore. Il CCNL è una fonte normativa attraverso cui le organizzazioni sindacali dei lavoratori regolano i rapporti di lavoro a livello nazionale, territoriale o aziendale. Le disposizioni previste dal CCNL hanno validità diretta nei confronti delle parti iscritte alle organizzazioni stipulanti e possono derogare, sia in meglio che in peggio, alla disciplina legislativa. Il contratto individuale non può differire da quanto previsto nel CCNL. Esistono due livelli di contrattazione collettiva:

  • Il primo livello, avente valenza nazionale, i cui prodotti sono i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) e gli Accordi Interconfederali (AI);
  • Il secondo livello, i cui prodotti hanno valenza territoriale o aziendale, tra cui rientra anche il contratto di prossimità

Il CCNL è finalizzato a regolare i rapporti di lavoro che siano già in atto o che si formino successivamente tra le parti contraenti. Le condizioni previste dai CCNL devono essere migliorative rispetto a quanto previsto dalla Costituzione, dalle leggi e dagli atti aventi forza di legge. Il CCNL è una fonte del diritto del lavoro e costituisce una delle principali forme di contrattazione collettiva.

Un contratto individuale di lavoro è un accordo stipulato tra un lavoratore subordinato e un datore di lavoro, in cui il lavoratore si impegna a prestare la propria attività lavorativa in cambio di una retribuzione. Le regole stabilite dal Codice Civile sui contratti in generale si applicano a questo tipo di accordo, salvo il caso in cui le norme disciplinanti il rapporto di lavoro dispongano diversamente. La validità del contratto di lavoro è subordinata al consenso delle parti, alla presenza di una causa, di un oggetto e alla forma prevista dalla legge. Nel caso in cui le parti coinvolte appartengano a categorie che hanno stipulato il contratto collettivo, le condizioni pattuite nell’accordo individuale non possono essere inferiori a quelle previste dalla contrattazione collettiva.Il rapporto tra il contratto individuale di lavoro, la legge e i contratti collettivi prevede che il contratto individuale non possa prevedere condizioni inferiori a quelle stabilite dalla legge o dal contratto collettivo applicabile. In caso di contrasto, vige il principio gerarchico per cui la fonte superiore (ad esempio il contratto collettivo rispetto al contratto individuale) prevale su quella inferiore, garantendo condizioni più favorevoli ai lavoratori (derogabilità in melius) e non meno favorevoli (inderogabilità in peius). Pertanto, il contratto individuale non può ledere i diritti garantiti dalla legge o dal contratto collettivo, ma può migliorarli.

Il contributo addizionale NASpI è stato introdotto per finanziare l’indennità di disoccupazione per i lavoratori dipendenti che perdono il lavoro involontariamente. Questo contributo è dovuto per i contratti di lavoro a tempo determinato ed è pari all’1,40% dell’imponibile previdenziale e viene versato all’INPS.

In caso di rinnovo di un contratto a termine, è previsto un incremento dell’aliquota del contributo addizionale dello 0,50% per ogni rinnovo, da aggiungere all’1,40%.Nel caso in cui un contratto a termine venga trasformato in uno a tempo indeterminato, il datore di lavoro ha diritto alla restituzione del contributo addizionale ASpI entro i limiti delle ultime sei mensilità del contratto a termine.

Dal 12 marzo 2016 il lavoratore deve comunicare le proprie dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto lavorativo attraverso una nuova procedura online disponibile sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

L’iniziativa ha l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle “dimissioni in bianco” che penalizza in particolare alcune categorie di lavoratrici e lavoratori.

Il lavoratore (accedendo tramite SPID) può provvedere personalmente alla trasmissione delle dimissioni telematiche oppure tramite soggetti abilitati, cioè patronati, organizzazioni sindacali, commissioni di certificazione, enti bilaterali, consulenti del lavoro e sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Il lavoratore ha sempre la possibilità di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale entro 7 giorni successivi alla comunicazione. Decorso il termine di 7 giorni utile per la revoca, per lo stesso rapporto di lavoro sarà possibile inviare nuove dimissioni, non revocabili.

Restano fuori dal campo di applicazione della procedura telematica, i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e il lavoro domestico. La “convalida delle dimissioni” è un procedimento previsto dalla legge che richiede una seconda manifestazione di volontà del lavoratore per rendere effettive le dimissioni presentate. Questo processo è finalizzato a garantire la genuinità della scelta del lavoratore di porre termine al rapporto di lavoro. La convalida delle dimissioni è richiesta in determinati casi, come ad esempio quando le dimissioni sono presentate durante il periodo protetto, come nel caso della lavoratrice madre durante la gravidanza o nei primi tre anni di vita del bambino. La procedura prevede che le dimissioni siano efficaci solo in seguito alla convalida da parte del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro.

La Dichiarazione di Immediata Disponibilità (DID) è la modalità prevista dalla legge per acquisire il riconoscimento dello status di disoccupato.

Con il rilascio della DID la persona dichiara di essere immediatamente disponibile allo svolgimento di un’attività lavorativa ed alla partecipazione ad iniziative per la ricerca attiva del lavoro.

Dalla data di rilascio della DID decorre lo stato di disoccupazione e gli impegni che ne derivano.

Sono considerati disoccupati i soggetti in possesso della DID e che:

  • Sono privi d’impiego (non svolgono alcuna attività lavorativa di tipo subordinato, parasubordinato e autonomo)
  • Sono lavoratori dipendenti o autonomi ma che percepiscono un reddito pari o inferiore a:
    • euro 8.500,00 per il lavoro dipendente e parasubordinato
    • euro 5.500,00 per il lavoro autonomo,

Il “Documento di Immediata Disponibilità” (DID) può essere sottoscritto sul portale dell’ANPAL, al Centro per l’Impiego e in fase di invio di domanda NASpI.Lo stato di disoccupazione, anche per coloro che richiedono o percepiscono la NASpI o la DIS-COLL, deve essere confermato con la sottoscrizione di un Patto di Servizio Personalizzato (PSP) entro 30 giorni (15 giorni in caso di NASpI e DIS-COLL) dalla data di sottoscrizione della DID contattando il Centro per l’Impiego territorialmente competente (in base all’indirizzo di residenza del lavoratore).

Il DURC, acronimo di Documento Unico di Regolarità Contributiva, è un certificato che attesta la regolarità di un’impresa o di un lavoratore autonomo nei confronti degli obblighi contributivi e assicurativi verso INPS, INAIL e Casse Edili. Serve per verificare che il soggetto che lo richiede è in regola con i versamenti dovuti.Viene richiesto in varie situazioni, come la stipula di contratti con enti pubblici e privati, l’accesso ad agevolazioni contributive e fiscali, e per partecipare a gare d’appalto. Il DURC, una volta rilasciato, ha validità per 120 giorni (90 giorni per il settore edile).

I fondi di assistenza sanitaria integrativa sono enti, associazioni o società di mutuo soccorso che integrano o sostituiscono le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche. Possono aderirvi lavoratori dipendenti, quadri, dirigenti e liberi professionisti. Hanno, di norma, natura contrattuale.Sono finanziati da datore di lavoro e lavoratori (o solo dai datori di lavoro se previsto dal contratto collettivo di categoria). Datori di lavoro sono obbligati al versamento della quota di finanziamento se iscritti all’associazione sindacale di categoria che ha sottoscritto il contratto collettivo applicato. Non ha invece un obbligo in tal senso nel caso invece non sia iscritto a tali associazioni. Tuttavia, nel caso il datore di lavoro decida di non finanziare il Fondo, dovrà garantire al lavoratore le medesime prestazioni a cui questi avrebbe avuto diritto.

L’indennità di trasferimento è un compenso erogato al dipendente che viene trasferito in una diversa sede aziendale in modo permanente e non temporaneo. Questo trasferimento deve essere motivato da ragioni tecniche, organizzative o produttive. L’indennità di trasferimento gode di un regime fiscale agevolato sui rimborsi per le spese di viaggio e le spese di trasloco, oltre alla diaria aggiuntiva prevista nella maggior parte dei contratti collettivi che sono esclusi per il 50% da tassazione e contribuzione. Tale esenzione si applica però solo a quelle indennità erogate nel primo anno di trasferimento.

L’agevolazione fiscale viene applicata a somme che non superano i seguenti tetti annui:

  • 1.549,37 € per i trasferimenti sul territorio nazionale
  • 4.648,11 € per trasferimenti all’estero o estero su estero

6.197,48 € se nello stesso anno il dipendente subisce un trasferimento in Italia e uno all’estero.

L’indennità di trasferta è una somma aggiuntiva erogata al lavoratore quando si trova temporaneamente a lavorare in una sede diversa da quella abituale. L’indennità di trasferta viene definita dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL) e può essere esente da imposte e contributi entro alcuni limiti giornalieri.È importante erogare correttamente l’indennità di trasferta e che tenga conto delle normative fiscali e contributive per evitare rischi di contenzioso.

Le ferie non godute sono le ferie maturate da un dipendente e non ancora utilizzate. Secondo la legge italiana, il dipendente non può rinunciare alle ferie in cambio di denaro, né per proprie esigenze personali, né su richiesta del datore di lavoro.

Le ferie si accumulano progressivamente ogni mese a partire dall’inizio del rapporto di lavoro, in base a un rateo pari a 1/12 delle ferie annuali. Le ferie non godute devono essere fruite entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione.

In caso di cessazione del rapporto di lavoro, le ferie non godute possono essere liquidate in busta paga attraverso un’indennità sostitutiva. L’indennità sostitutiva per ferie non godute è calcolata moltiplicando le ferie residue e non godute per la retribuzione in atto nel periodo di mancato godimento o al momento della cessazione del rapporto.

Questa indennità è soggetta a tassazione fiscale e contributiva. Se le ferie non godute sono relative all’anno corrente, l’indennità è tassata nell’anno corrente; se copre un periodo temporale più ampio, è soggetta a tassazione separata.

È importante sottolineare che il dipendente non può richiedere il pagamento delle ferie non godute, né il datore di lavoro può offrire una compensazione economica in sostituzione delle ferie.

Nella generalità dei casi, il recesso del rapporto di lavoro prevede il rispetto del c.d. periodo di preavviso. Questo periodo, previsto dalla legge, è necessario per permettere alla controparte di organizzarsi a seguito del recesso subìto e deve, di norma, essere lavorato. Ogni CCNL regolamenta la durata del periodo di preavviso. Solitamente il periodo di preavviso è distinto sulla base che si tratti di dimissioni o licenziamento. Nei casi in cui la parte che recede non rispetti questo periodo di lavoro, l’altra parte può pretendere il pagamento corrispondente a tale periodo. L’indennità sostitutiva del preavviso è dunque un importo dovuto da chi recede dal contratto di lavoro senza rispettare il periodo di preavviso previsto. Questa indennità deve essere calcolata in base alla retribuzione spettante al lavoratore, comprensiva delle mensilità aggiuntive, della quota di TFR, delle provvigioni, dei premi di produzione, della partecipazione agli utili, e di altri compensi continuativi, con esclusione dei rimborsi spese.

Il Libro Unico del Lavoro (LUL) è un documento obbligatorio per tutti i datori di lavoro in Italia, introdotto nel 2008 per sostituire i vecchi libri paga e matricola. Questo registro documenta in dettaglio ogni rapporto di lavoro tra l’azienda e i dipendenti, fornendo un quadro generale dell’impresa. Deve essere conservato per almeno cinque anni e contiene informazioni come i dati anagrafici dei lavoratori, l’inquadramento retributivo, le detrazioni fiscali, le assenze, le ore lavorate e altre informazioni relative al rapporto di lavoro.

La compilazione del LUL avviene mensilmente e deve essere presentata entro il 30 del mese successivo. Può essere redatto in forma cartacea o telematica e deve essere numerato in modo unico, sequenziale e continuativo. La mancata esibizione del LUL può comportare sanzioni pecuniarie che vanno da 200 a 2000 euro.I soggetti da registrare nel Libro Unico del Lavoro includono i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi, gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Alcune categorie come i datori di lavoro domestici, le pubbliche amministrazioni e alcune piccole imprese sono esentate dall’obbligo di compilare il LUL.

Il Modello 730 è uno strumento che consente ai lavoratori dipendenti e pensionati di comunicare al fisco i redditi generati nell’anno precedente.
È un modello semplificato che dà la possibilità di ottenere il rimborso dell’imposta direttamente nella busta paga o nella rata di pensione.
Il modello può essere presentato autonomamente o tramite professionisti del campo fiscale.
Da qualche anno è possibile accedere al modello precompilato tramite l’area dedicata sul sito dell’Agenzia delle Entrate utilizzando SPID, CIE o Carta nazionale dei servizi.
La scadenza per la presentazione del Modello 730 varia ogni anno.
È possibile presentarlo autonomamente online utilizzando gli strumenti telematici forniti dall’Agenzia delle Entrate ma in caso di errori nella compilazione, è importante correggerli tempestivamente per evitare sanzioni.

Il Modello 770 è uno strumento utilizzato dai datori di lavoro in qualità di sostituti d’imposta per comunicare in via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle ritenute operate su diversi tipi di redditi, come quelli di lavoro dipendente e autonomo, proventi da partecipazione, redditi di capitale, versamenti effettuati, crediti d’imposta utilizzati e altri dati fiscali.Il Modello 770 deve essere presentato entro il 31 ottobre dell’anno successivo a quello cui si riferiscono i dati contenuti nel modello. La presentazione avviene esclusivamente in via telematica. È possibile compilare e trasmettere il modello autonomamente o tramite intermediari abilitati.

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) è un’indennità mensile di disoccupazione erogata a lavoratori dipendenti che abbiano perso involontariamente il lavoro.

Funzionamento della NASpI:

  • La NASpI spetta dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro.
  • Viene erogata per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive degli ultimi quattro anni.
  • L’importo varia in base al reddito percepito nei quattro anni precedenti la richiesta di disoccupazione.
  • L’importo inizia a diminuire del 3% per ogni mese a partire dal 6° mese di percepimento della NASpI.

Requisiti:

  • La NASpI può essere richiesta dai lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che hanno perso involontariamente il lavoro, inclusi apprendisti, soci lavoratori di cooperative (no dirigenti);
  • E’ necessario aver versato contributi contro la disoccupazione per almeno 13 settimane nei 4 anni precedenti la richiesta.

Come presentare domanda di NASpI:

  • Attraverso il sito istituzionale INPS, in autonomia (accedendo al portale tramite SPID o CIE) o tramite i soggetti abilitati quali i patronati attraverso l’apposita funzione;

Entro il termine di 68 giorni a partire dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Trascorso questo periodo, la mancata presentazione della domanda comporta la decadenza dal diritto alla prestazione.

Un patto di non concorrenza è un accordo tra datore di lavoro e lavoratore in cui il lavoratore si impegna a non svolgere attività in concorrenza con il suo ex datore di lavoro al termine del rapporto, in cambio di un corrispettivo.
Il patto di non concorrenza è un accordo molto delicato.

I requisiti fondamentali del patto di non concorrenza, sono:

  • Deve essere scritto e contenere elementi come l’oggetto, la durata, l’ambito territoriale, e un corrispettivo congruo.
  • La durata massima del vincolo non può superare i 5 anni per i dirigenti e i 3 anni per gli altri casi.
  • Se il corrispettivo non è congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore, il patto può considerarsi nullo.
  • Il patto non può pregiudicare l’attività futura del lavoratore né limitare lo sviluppo della sua professionalità.

In caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore, il datore di lavoro può chiedere la restituzione del corrispettivo pagato e il risarcimento dei danni subiti a causa dell’attività concorrenziale dell’ex dipendente.
La nullità di un patto di non concorrenza può verificarsi se manca un corrispettivo economico equo o se la durata o l’ampiezza del divieto sono eccessivi.

È un periodo durante il quale entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore) possono valutare reciprocamente la convenienza dell’instaurazione del rapporto di lavoro.
Durante tale periodo le parti sono libere di recedere dal rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso.
La durata del patto di prova è regolato dal Contratto Collettivo applicato dal datore di lavoro ma non potrà comunque mai superare i 6 mesi di prova.
Il patto di prova non è prorogabile.
Di norma non è possibile ripetere il periodo di prova tra uno stesso datore di lavoro e lavoratore.Il rapporto diviene definitivo al superamento del periodo di prova.

La Legge 104/1992, nota anche come legge 104, è un riferimento legislativo che riguarda l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità grave. Questa legge prevede permessi retribuiti per i lavoratori che assistono persone con disabilità grave. I principali destinatari dei permessi sono:

  • Disabili gravi che lavorano come dipendenti.
  • Genitori di figli disabili gravi, con modalità di fruizione diverse a seconda dell’età del bambino.
  • Coniugi, parenti e affini entro il 2° grado di familiari disabili gravi.

I permessi retribuiti Legge 104 spettano per un totale di 3 giorni al mese o ad orario frazionato. È possibile cumulare i permessi per assistere più familiari con disabilità. La richiesta dei permessi avviene tramite domanda telematica all’INPS, allegando la documentazione comprovante la disabilità. Il trattamento economico durante i giorni di permesso viene erogato dall’INPS ma è, di norma, anticipato dal datore di lavoro che lo recupera attraverso la compensazione con i contributi da versare attraverso il modello F24.

I permessi elettorali sono concessi ai lavoratori dipendenti che svolgono funzioni come scrutatori, presidenti di seggio, segretari o rappresentanti di lista durante le elezioni.
Tali giorni di assenza dal lavoro sono considerati a tutti gli effetti giorni di attività lavorativa e pertanto, per i giorni di permanenza al seggio il lavoratore ha diritto alla retribuzione normalmente percepita.
I giorni di svolgimento delle operazioni di voto coincidenti con giorni festivi o comunque non lavorativi possono essere compensati con quote giornaliere di retribuzione piena oppure mediante la fruizione di giornate intere di riposo compensativo da godersi nei giorni immediatamente successivi alla consultazione elettorale.
Per poter usufruire dei permessi, il lavoratore è tenuto a presentare al proprio datore di lavoro la documentazione che attesti la ragione dell’assenza dal luogo di lavoro.
Tale documentazione dovrà essere sottoscritta dal presidente e dal vicepresidente del seggio nel quale il lavoratore ha svolto la propria attività.

I “Permessi per ex festività” sono dei permessi retribuiti concessi in occasione di festività soppresse, ovvero giornate che in passato erano considerate festività ma che ora non lo sono più.
Sono previsti dalla legge e sono a volte accorpati ai permessi ROL.

Il congedo per lutto e grave infermità è un diritto che spetta per legge a ogni lavoratore dipendente pari a 3 giorni di permesso retribuito all’anno.
Questo permesso può essere utilizzato in caso di decesso o documentata grave infermità del coniuge, di un parente entro il secondo grado o del convivente ed è di norma regolato anche dal Contratto Collettivo di Lavoro.

I permessi per studio sono dei permessi previsti dalla legge. Tuttavia la legge si limita a prevederne l’esistenza lasciando poi alla contrattazione collettiva il compito della loro regolamentazione.
In genere i contratti collettivi sono allineati nel riconoscere 150 ore di permessi retribuiti da concedere al lavoratore studente per frequentare corsi di studio, prepararsi e sostenere gli esami.
I contratti collettivi possono anche prevedere alcuni limiti di fruizione dei permessi, quale, ad esempio, che la percentuale massima di lavoratori che possono fruire contemporaneamente dei permessi retribuiti, in linea di massima, non può superare il 2 o 3% dei lavoratori totali presenti in azienda.

I permessi ROL, acronimo di Riduzione dell’Orario di Lavoro, sono permessi retribuiti che consentono ai dipendenti di astenersi per alcune ore dalla prestazione lavorativa.
Contrariamente ai “Permessi per ex festività” non sono obbligatori per legge e perciò ogni Contratto Collettivo di Lavoro può disciplinare “se e quanti” permessi ROL concedere ai lavoratori.

Nel contratto di apprendistato, il “registro della formazione” è un documento fondamentale che attesta e registra l’avvenuta formazione dell’apprendista.
Questo registro include informazioni dettagliate sulla formazione ricevuta dall’apprendista, come i contenuti formativi, le ore di formazione svolte, le date delle sessioni formative, le firme del tutor e dell’apprendista.
La corretta compilazione di questo registro è essenziale per dimostrare il rispetto degli obblighi formativi previsti dalla legge e per evitare sanzioni o la nullità del contratto di apprendistato in caso di mancata formazione o documentazione insufficiente.

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) ha il compito di monitorare l’applicazione delle regole di sicurezza, segnalare situazioni di rischio e collaborare con l’azienda per implementare le misure necessarie. È una figura obbligatoria in tutte le aziende con almeno un dipendente e la sua nomina varia a seconda del numero di dipendenti:

  • in aziende con meno di 15 lavoratori viene scelto tra i dipendenti,
  • in quelle con più di 15 dipendenti viene eletto dalle rappresentanze sindacali aziendali.

Il RLS deve ricevere una formazione specifica e aggiornamenti annuali per svolgere al meglio il suo ruolo.

Le principali funzioni del RLS includono:

  • Collaborare con il datore di lavoro per migliorare la qualità del lavoro in azienda.
  • Ascoltare i problemi dei lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
  • Monitorare l’applicazione delle norme di sicurezza e segnalare eventuali situazioni di rischio.
  • Partecipare attivamente alla gestione della sicurezza sul lavoro.
  • Essere consultato in modo preventivo e tempestivo riguardo alla valutazione dei rischi, individuazione e programmazione delle misure di prevenzione.
  • Accedere ai locali aziendali in cui si svolgono i lavori per verificare il rispetto delle norme di sicurezza.
  • Rappresentare i lavoratori per quanto riguarda gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro.

Collaborare con l’azienda per la predisposizione delle misure necessarie a garantire un ambiente di lavoro sicuro.

Il Rappresentante Sindacale Aziendale (RSA) è un organismo di rappresentanza sindacale che può essere costituito in ogni unità produttiva con almeno 15 dipendenti ad iniziativa dei lavoratori. È eletto dai lavoratori iscritti di uno dei sindacati che hanno partecipato alle trattative del CCNL applicato.

Le funzioni del Rappresentante Sindacale Aziendale (RSA) includono:

  • Rappresentanza dei lavoratori iscritti al sindacato che lo ha eletto all’interno dell’unità produttiva;
  • Partecipazione alla tutela dei diritti sindacali dei lavoratori, in conformità con lo Statuto dei Lavoratori;
  • Contributo alla gestione delle relazioni sindacali all’interno dell’azienda;
  • Collaborazione con i lavoratori e il datore di lavoro per affrontare questioni sindacali e migliorare le condizioni di lavoro;
  • Partecipazione alla consultazione preventiva in materia di salute e sicurezza sul lavoro;

Eventuale partecipazione alla contrattazione aziendale, se prevista.

Il Rappresentante Sindacale Unitario (RSU) è un organo collegiale di rappresentanza sindacale eletto da tutti i lavoratori presenti in azienda, indipendentemente dalla loro iscrizione ad un sindacato. Rispetto alla RSA, che può essere costituita anche da un solo individuo, la RSU è un organo collegiale che, salvo diversa previsione del CCNL applicato, è così composto:

a)    3 componenti per la RSU costituita nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti;

b)    3 componenti ogni 300 o frazione di 300 dipendenti nelle unità produttive che occupano fino a 3000 dipendenti;c)     3 componenti ogni 500 o frazione di 500 dipendenti nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero di cui alla precedente lett. b).

Gli scatti di anzianità sono aumenti retributivi concessi “automaticamente” ai dipendenti in base alla loro anzianità di servizio presso la stessa azienda.
Questi aumenti periodici sono stabiliti dai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL) e variano a seconda del settore e delle norme contrattuali specifiche.
Sono in genere biennali fino ad un massimo di 5 scatti e l’aumento è solitamente pari al 4% circa della paga base prevista dal CCNL applicato.

Il termine smart working è nato in Italia ed è utilizzato come sinonimo di “lavoro agile”. Il lavoro agile è una modalità di esecuzione del lavoro subordinato caratterizzata dall’assenza di vincoli di orario e di luogo di lavoro, organizzando il lavoro per fasi, cicli e obiettivi ed è regolamentato dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Questa modalità di lavoro permette ai dipendenti di svolgere le proprie mansioni in parte nei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, entro i limiti dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Lo smart working è possibile solo se vi è volontà da ambo le parti (il datore di lavoro non potrà mai imporre al lavoratore lo smart working) e previa stipula di un contratto individuale tra datore di lavoro e lavoratore.
Il rifiuto di un lavoratore di accettare un accordo di smart working non potrà essere sanzionato per questo.
L’accordo potrà essere a tempo determinato o indeterminato e dovrà contenere diverse informazioni tra le quali, ad esempio:

  • Modalità di svolgimento delle mansioni: Deve essere specificato come il dipendente svolgerà le proprie attività lavorative, indicando se sarà in parte presso i locali aziendali e in parte in remoto.
  • Strumenti tecnologici: deve essere chiarito quali strumenti tecnologici il dipendente utilizzerà per svolgere le proprie mansioni in smart working;
  • Orario di lavoro: anche se lo smart working prevede flessibilità negli orari, è importante definire delle fasce orarie lavorative per garantire la corretta esecuzione delle mansioni e salvaguardare la salute del lavoratore;
  • Modalità di controllo delle prestazioni: è necessario stabilire come verranno monitorate e valutate le prestazioni del dipendente in smart working;
  • Tutele e diritti del lavoratore: il contratto deve includere le tutele e i diritti del dipendente in smart working, come ad esempio la tutela in caso di infortuni o malattie professionali;
  • Disposizioni sulla sicurezza: il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al dipendente in smart working, quindi è importante che il contratto contenga disposizioni in merito;
  • Diritto alla disconnessione: è consigliabile includere nel contratto disposizioni sul diritto del dipendente alla disconnessione, garantendo un equilibrio tra vita lavorativa e privata.

I datori di lavoro che stipulano accordi di smart working, sono tenuti a riconoscere priorità alle richieste formulate da lavoratrici/lavoratori con figli fino a dodici anni di età o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità.La stessa priorità dovrà essere riconosciuta ai lavoratori disabili che ne facciano richiesta e ai lavoratori c.d. “caregivers”.

Per superminimo individuale ci si riferisce a una somma retributiva aggiuntiva concordata tra datore di lavoro e dipendente.
L’importo di tale voce è deciso unicamente dalle parti anche se è solitamente utilizzato per valorizzare la performance e le competenze del lavoratore.

Il superminimo può essere di due tipi:

  • Superminimo “assorbibile”: il suo valore può essere assorbito in caso di aumenti della “paga base” derivanti da rinnovi contrattuali o altre variazioni (ad es. assegnazione a livello superiore). In tal caso, il suo valore può essere ridotto all’aumentare della paga base.
    Se, ad esempio, la paga base aumenta, il superminimo può essere ridotto di pari importo per mantenere l’equilibrio retributivo complessivo.
  • Superminimo “non assorbibile”: quando il superminimo è definito come non assorbibile, la somma aggiuntiva concordata rimane fissa e non subisce variazioni a seguito di aumenti contrattuali o passaggi di livello.
    In questo caso, l’importo del superminimo resta invariato nella retribuzione del lavoratore anche in presenza di aumenti della paga base derivanti da rinnovi contrattuali.

Il “ticket licenziamento” o “tassa sul licenziamento” è un contributo che il datore di lavoro deve versare all’INPS in caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Il ticket è dovuto in caso di licenziamento:

  • Per giustificato motivo oggettivo,
  • Per giusta causa,
  • Per giustificato motivo soggettivo,
  • Durante il periodo di prova.

È dovuto altresì in caso di dimissioni per giusta causa.

Non è richiesto, invece, in caso di cessazione dei contratti a termine.
L’importo del ticket varia ogni anno e per il 2024 è pari a 635,67 euro per ogni anno di lavoro del dipendente per un massimo di tre anni (dunque per il 2024 l’importo massimo del ticket è pari a 1.961,01 euro).

Il tirocinio (chiamato anche stage) è un periodo di orientamento e di formazione, svolto in un contesto lavorativo e volto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Non si configura come rapporto di lavoro.

Esistono due tipi di tirocini:

·       i tirocini curriculari, rivolti ai giovani frequentanti un percorso di istruzione o formazione e finalizzati ad integrare l’apprendimento con un’esperienza di lavoro.
Questo tipo di tirocinio è disciplinato dai Regolamenti di istituto o di ateneo ed è promosso da scuole, università o enti di formazione accreditati;

·       i tirocini extracurriculari, finalizzati ad agevolare le scelte professionali dei giovani tramite un periodo di formazione in un ambiente produttivo e quindi con la conoscenza diretta del mondo del lavoro.
Questo tipo di tirocinio è disciplinato dalle Regioni e dalle Province autonome: a livello nazionale sono comunque definiti degli standard minimi comuni, riferiti ad esempio agli elementi qualificanti del tirocinio, alle modalità con cui il tirocinante presta la sua attività, all’indennità minima.
Tali standard sono contenuti nelle “Linee guida in materia di tirocini”.
Per attivare un tirocinio è necessaria una convenzione tra un soggetto promotore (università, scuola superiore, agenzia per l’impiego, centro di formazione, ecc.) e un soggetto ospitante (azienda, studio professionale, cooperativa, ente pubblico ecc.), corredata da un piano formativo.
Il soggetto promotore del tirocinio e il soggetto ospitante nominano un tutor ciascuno, che aiuteranno il tirocinante nella stesura del piano formativo, nel suo inserimento nel nuovo contesto, nella definizione delle condizioni organizzative e didattiche, nel monitoraggio del percorso formativo e nell’attestazione dell’attività svolta.
Le competenze e i risultati raggiunti dal tirocinante sono registrati sul libretto formativo.
Pur non costituendo un rapporto lavorativo, i tirocini disciplinati nelle linee-guida sono soggetti all’obbligo di comunicazione obbligatoria da parte del soggetto ospitante.

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